La prescrizione dei diritti non decorre mai nel corso del rapporto di lavoro

La prescrizione dei diritti non decorre mai nel corso del rapporto di lavoro

Risvolti della sentenza della Corte di Cassazione n. 2646/2022 sui processi in corsi e sulle dinamiche aziendali

La prescrizione nel rapporto di lavoro

I crediti di natura retributiva pagati con periodicità annuale od inferiore subiscono la prescrizione quinquennale. In un anno si prescrivono gli emolumenti retributivi corrisposti con cadenza non superiore al mese. Sono poi soggette a prescrizione presuntiva triennale tutte le somme corrisposte con cadenza superiore al mese. 

La prescrizione si applica anche ai crediti del lavoratore aventi carattere risarcitorio (infortunio sul lavoro, malattia professionale, danno da irregolare contribuzione, demansionamento,ecc.) ma in questi casi il termine di prescrizione è quello decennale. 

Nei casi di illecito permanente, qual’è ad esempio il demansionamento, il termine di prescrizione decorre dalla cessazione della permanenza dell’illecito ossia da quando il datore di lavoro ha riassegnato il lavoratore alle mansioni proprie del suo inquadramento. Da quel giorno inizia a computarsi il termine di prescrizione decennale.

Nell’ambito del rapporto di lavoro per decenni ha valso l’eccezione alla regola generale che prevede il decorrere del termine di prescrizione dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere; in forza di interventi della Corte Costituzionale negli anni ‘60 del secolo scorso, la prescrizione decorre solo se il rapporto di lavoro è assistito dalla c.d. stabilità reale. Se il rapporto di lavoro non è assistito dalla stabilità reale la prescrizione inizia a decorrere dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. 

Sulla questione della decorrenza del termine di prescrizione è intervenuta la Corte di Cassazione con una sentenza di enorme importanza perché va ad incidere sulla programmazione aziendale in punto di rischi di contenzioso in materia del lavoro ed anche sui processi in corso, ribaltandone o ampliandone il possibile esito favorevole al lavoratore.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 26246 del 6/9/2022

La Corte di Cassazione è intervenuta sulla questione della decorrenza della prescrizione nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato ben sapendo che la sua decisione avrebbe stravolto decenni di consolidata giurisprudenza di legittimità. Forse per questo motivo, ben sapendo che sarebbe stata letta anche da non tecnici del diritto, è stata redatta con modalità peculiari.

La prima parte della sentenza ricostruisce la normativa di settore e l’evoluzione della giurisprudenza di Legittimità e Costituzionale con un linguaggio comprensibile ai più arrivando anche a trattare elementi di sociologia del diritto del lavoro.

Invitiamo a leggere i passaggi ove la Corte spiega che gli interessi del lavoratore e dell’imprenditore, sia pure espressione di posizioni soggettive diversamente collocate nell’organizzazione dell’impresa, sono largamente convergenti, in una prospettiva più ampia, che sempre andrebbe considerata nell’interpretazione e nella prassi operativa: perché i rapporti di lavoro sono intimamente implicati nella vita dell’impresa, di cui costituiscono componente intrinseca costituendo essi stessi impresa. Si parla di “comunione di destino” tra il rapporto di lavoro e l’impresa. Spiega in modo chiaro la distinzione tra il diritto al lavoro, riconosciuto a tutti i cittadini dalla Repubblica, dal diritto al posto di lavoro “Essa si constata con la massima evidenza nelle situazioni di crisi, nelle quali i due diritti si misurano in una naturale frizione, dovendo quasi sempre la tutela del posto di lavoro cedere a quella, di interesse più generale, del diritto al lavoro, inteso come compatibilità del più ampio mantenimento dell’occupazione possibile con la condizione di crisi data”.

La sentenza n. 26246 pubblicata il 6 settembre 2022 ha ricomposto il contrasto giurisprudenziale che si era creato nella giurisprudenza di merito, stabilendo che la prescrizione dei crediti lavorativi decorre sempre dalla conclusione del rapporto di lavoro anche nelle aziende cui si applica l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Come noto la riforma Fornero nel 2012 ha inciso sulla disciplina dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Ante riforma Fornero nelle aziende con più di 15 dipendenti nel caso di licenziamento illegittimo l’art. 18 non offriva alternative, il dipendente doveva essere reintegrato (salvo il suo diritto all’indennità sostitutiva della reintegra); nelle aziende sotto quella soglia numerica il dipendente illegittimamente licenziato aveva (ed ha) diritto solo ad una indennità risarcitoria salvo in casi eccezionali.

Nelle imprese fino a 15 dipendenti la prescrizione non è mai decorsa durante il rapporto di lavoro in quanto quei lavoratori che rivendicavano i loro diritti potevano essere soggetti a ripercussioni ed anche al licenziamento e dunque avevano timore (metus) a farlo durante il rapporto di lavoro.

Il quadro normativo di riferimento è cambiato radicalmente dal 18 luglio 2012 data di entrata in vigore della Legge 92/2012 (Riforma Fornero) e dal Job Act del 2015 che hanno limitato in modo significativo la possibilità di essere reintegrati a seguito di licenziamento illegittimo limitandola ai casi di licenziamenti nulli o inefficaci e ad ipotesi difficilmente dimostrabili quali la prova dell’insussistenza del fatto nel licenziamento disciplinare.

I giudici hanno iniziato a chiedersi se avesse ancora fondamento, per quanto riguarda la decorrenza della prescrizione, la distinzione tra aziende che rientrano in tutela reale ed aziende in c.d. tutela obbligatoria visto che la reintegra era diventata molto difficile da ottenere e dunque il timore del lavoratore nel rivendicare i propri diritti era presente anche nelle “grandi” imprese.

Secondo un primo orientamento la riforma Fornero e il Jobs Act non avevano inciso sulla decorrenza della prescrizione dato che non avevano avuto riflessi sul metus visto che la reintegra era sempre ipoteticamente ottenibile in giudizio. Un altro orientamento, con il tempo divenuto preponderante, riteneva invece che non aveva ragione d’essere la decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro dato che la tutela giudiziaria non era prevedibile quanto alla effettiva reintegra pur in presenza di un licenziamento palesemente illegittimo,

Secondo la Corte di Cassazione i giudici (per il momento quelli che dovranno occuparsi della decisione della sentenza riformata ma probabilmente anche quelli che si stanno occupando di controversie in corso) dovranno attenersi al seguente principio “Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92/2012 e del D.Lgs. n. 23/2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92/2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro”.

Non decorrenza della prescrizione di tutti i diritti, non solo dei diritti di credito

La Corte di Cassazione ha stabilito un principio che si applica a tutte le ipotesi nelle quali viene in rilievo la prescrizione.

La prescrizione, come sopra accennato, si applica non solo ai diritti di credito ma anche a quelli risarcitori ed a quelli che concernono aspetti legati al corretto inquadramento.

Le ipotesi sono moltissime: stipendi non pagati e differenze retributive derivanti da lavoro straordinario; diritto al corretto inquadramento per avere ricevuto assegnate, per un dato arco temporale, mansioni proprie di un profilo professionale superiore a quello di inquadramento; risarcimento per infortuni sul lavoro o malattie professionali, ecc.

D’ora in poi coloro che rivendicano un diritto ricompreso tra le ipotesi sopra elencati (ma la lista sarebbe molto lunga) possono attendere la fine del rapporto di lavoro prima di effettuarne la rivendica, senza temere che la prescrizione faccia perdere loro ogni diritto.

Bisogna però tenere a mente che solo i diritti non prescritti al 18 luglio 2012 potranno ancora essere esercitati. Se a quella data la prescrizione (annuale, triennale, quinquennale o decennale a seconda delle fattispecie) era già decorsa, non vi sono più possibilità di rivendicare i diritti.

Proviamo a fare degli esempi in aziende che rientrano in tutela reale.

Ho avuto un infortunio sul lavoro il 19 luglio 2002; il diritto al risarcimento si prescrive in 10 anni e dunque il 19 luglio 2012. Visto che la prescrizione maturava dal giorno successivo a quella considerata spartiacque e dal 18 luglio 2012 non decorre più in costanza di lavoro, sono ancora in termini per fare le mie rivendicazioni risarcitorie.

Se l’infortunio sul lavoro fosse avvenuto il 10 luglio 2002 il mio diritto al risarcimento sarebbe invece prescritto a meno che tra il 18 luglio 2002 e il 17 luglio 2012 non abbia inviato una diffida interruttiva della prescrizione.

Vediamo il caso del diritto all’inquadramento superiore la cui prescrizione è decennale. Ho svolto per un anno mansioni superiori nel lontano 2003 e l’azienda mi ha riassegnato a quelle proprie del mio inquadramento l’anno successivo. Posso richiedere l’inquadramento alla categoria superiore (termine di prescrizione decennale). Ho invece perso il diritto a richiedere le conseguenti differenze retributive perché soggette a prescrizione quinquennale. Avrò invece diritto alle differenze retributive conseguenti alle superiori mansioni svolte negli anni 2003/2004 a decorrere da quando le richiederò formalmente in conseguenza della richiesta di superiore inquadramento.

Nel caso di danni da demansionamento (vedere nostro articolo Assegnazione a mansioni inferiori. Demansionamento) soggetto anch’esso al termine di prescrizione decennale, il ragionamento è analogo. Se il demansionamento è cessato prima del 18 luglio 2002 non avrò diritto a richiedere i danni, se invece è perdurato almeno sino a quella data sono ancora in termini per esercitare i miei diritti. Considerato che il demansionamento, come abbiamo sopra ricordato, è un illecito permanente e che la prescrizione dunque non decorre finché la condizione di demansionamento non cessa, potremmo oggi chiedere danni da demansionamento risalenti a decine di anni addietro: sono stato demansionato sin dal 1990 e fino all’agosto 2012. A distanza di oltre 30 anni posso chiedere conto di quanto mi è accaduto sin dal 1990.

Conseguenze sulle dinamiche aziendali e sui processi in corso

Inutile dire che la sentenza della Corte di Cassazione, seppure non inaspettata, avrà enormi conseguenze sulla programmazione dei rischi effettuata dalle aziende con i requisiti dimensionali propri della tutela reale. Gli uffici del personale hanno tirato una riga su molte situazioni foriere di costi (differenze retributive, inquadramenti, risarcimenti, ecc.) che invece possono risorgere se il lavoratore deciderà di attivarsi eventualmente attendendo la fine del rapporto di lavoro. Le aziende potrebbero tentare di risolvere le situazioni più a rischio proponendo conciliazioni in sede protetta senza attendere la vertenza.

Anche i processi in corso ne subiranno gli effetti. Tutti i giuslavoristi patrocinano cause dove la prescrizione anche parziale gioca un ruolo fondamentale. Dato che non è rilevabile d’ufficio dal giudice ma può essere pronunciata solo su istanza di parte (dell’azienda in questo caso) capita spesso che l’avvocato che patrocina il lavoratore richieda tutti i diritti, anche la quota parte prescritta (confidando che la controparte non eccepisca la prescrizione magari per dimenticanza). Ebbene in questo caso gli effetti della sentenza sulla somma richiesta possono spostare anche di moltissimo l’esito economico del processo.