Contratto di collaborazione medico ospedaliero?

Contratto di collaborazione medico ospedaliero?

Per il Tribunale di Ancona hai diritto alla qualifica dirigenziale

In due parole 

Il nostro studio ha ottenuto una importante vittoria nei confronti dell’Azienda Sanitaria Unica Marchigiana riuscendo a fare ottenere la qualifica dirigenziale e tutte le differenze stipendiali e contributive ad un medico che aveva lavorato per anni in regime di collaborazione. Il Tribunale di Ancona ha riconosciuto la natura subordinata del rapporto e parificato gli stipendi a quelli di un dirigente medico.

Per chi volesse saperne di più invitiamo a leggere l’articolo per intero.

Premessa

La vicenda giudiziaria che andremo a descrivere è sorta nell’ambito della Regione Marche la cui peculiarità è l’avere accentrato l’intera sanità pubblica in un’unica azienda sanitaria (ASUR acronimo di Azienda Sanitaria Unica Regionale) suddivisa in cinque Aree Vaste su base provinciale. Obiettivo dell’accorpamento era anche la razionalizzazione e riduzione delle spese con un unico centro acquisti. Il modello di azienda unica evidentemente non ha dato i frutti sperati tanto che proprio in questi mesi le Marche stanno tornando all’organizzazione sulla base delle Aree Vaste provinciali con soppressione dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale.

Il caso concreto in ASUR Marche

Una di queste Aree Vaste nel corso di molti anni ha utilizzato la prestazione lavorativa di diversi medici nelle forme dei contratti di collaborazione a progetto. Stiamo parlando di rapporti di lavoro di durata ultradecennale in regime autonomo con assegnazione a mansioni del tutto sovrapponibili a quelle dei Dirigenti Medici ospedalieri in regime di lavoro subordinato regolati dal CCNL di categoria.

I medici assunti con contratto di collaborazione erano inseriti nei turni di lavoro con tutto il restante personale medico subordinato, erano soggetti agli stessi obblighi contrattuali tra i quali il dovere garantire la presenza in servizio verificata tramite il badge in entrata e in uscita, richiedere l’autorizzazione per assentarsi, avere l’obbligo formativo, ecc. Di contro non avevano gli stessi diritti: le ferie e i permessi non erano pagati, il rapporto di lavoro poteva interrompersi in ogni momento per mancato rinnovo o proroga dei contratti. l’assenza per  maternità non era pagata, ecc.. 

Per quale motivo l’azienda sanitaria pubblica ha stipulato contratti di tal fatta a personale medico è presto detto, il considerevole risparmio economico dato da stipendi più bassi e mancanza di tutele.

Abbiamo accettato l’incarico di assistere il personale medico in regime di collaborazione nel tentativo di ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato per il periodo prestato nelle forme del lavoro autonomo e le conseguenti differenze retributive e contributive. Quello della contribuzione è un problema serio in questo tipo di contratti dato che anche nel rapporto di lavoro autonomo (collaborazione) vi è l’obbligo di versare i contributi ma a causa anche dello stipendio considerevolmente più basso rispetto ai colleghi assunti  con rapporto di lavoro subordinato, i medici in regime di collaborazione avevano subito un pregiudizio previdenziale molto importante. Si tratta di soggetti che hanno lavorato per la sanità pubblica per moltissimi anni e il danno contributivo è assai rilevante.

Il nostro studio di consulenza del lavoro di fiducia ha predisposto il conteggio delle differenze retributive e sono emerse somme a credito dei lavoratori molto ingenti (sopra i centomila euro) oltre al montante del trattamento di fine rapporto (perché il regime di collaborazione non lo prevedeva).

Dopo avere tentato inutilmente una soluzione stragiudiziale abbiamo dunque introdotto la causa dinanzi al Tribunale di Ancona, sezione lavoro.

I motivi di ricorso erano svariati: svolgimento di fatto del rapporto di lavoro con modalità proprie della subordinazione anziché della collaborazione; vizi contrattuali derivanti dal fatto che nei rinnovi e proroghe contrattuali non si faceva cenno alle ragioni per le quali venivano disposte le proroghe (contrariamente a quanto dispone la legge); assenza di progetto nei contratti, ecc.

Analizziamo una delle decisioni per la sua peculiarità. Il giudice ha infatti deciso la causa sulla base dei documenti agli atti senza dare ingresso alle prove testimoniali richieste da entrambe le parti.

Il Tribunale di Ancona sezione lavoro ha accolto le ragioni del medico riconoscendo la natura subordinata del rapporto e condannando l’ASUR a pagare tutte le differenze retributive richieste compreso il trattamento di fine rapporto ed a versare i contributi previdenziali.

L’ASUR ha messo in esecuzione la sentenza pagando tutto il dovuto senza proporre appello, tanto da chiedersi perché non abbia accettato di addivenire ad una ben più economica soluzione stragiudiziale 

La decisione 

Dopo avere ricostruito il susseguirsi dei contratti, dei rinnovi e delle proroghe la sentenza ha motivato con argomenti tanti chiari e convincenti da determinare l’ASUR a non proporre appello.

Scrive il Giudice:

“È quindi sufficiente evidenziare che:  sono palesemente illegittime le (formali) proroghe del secondo contratto, in assoluta mancanza (per quanto dedotto e documentato dalla resistente, gravata dall’onere della prova) dei presupposti richiesti dalla legge, la quale (comma 6, lettera c) del citato art.7 D.lgs 165/2001) le consente solo «in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore»;  parimenti illegittima è la stessa stipulazione del secondo contratto la quale, per quanto esposto, integra un sostanziale proroga del primo (già in base al quale, si osserva, l’Azienda avrebbe potuto in tutta apparenza senz‘altro unilateralmente pretendere che la prestazione si svolgesse solo presso l’unità di Fabriano);  la (illegittima) reiterazione delle proroghe manifesta (come tipicamente in casi analoghi: cfr Cass. SSUU 33366/18) la illegittimità anche del primo contratto, in quanto attesta l’inesistenza di una originaria destinazione del lavoratore alla realizzazione di «obiettivi e progetti specifici e determinati»;  nel caso di specie tale destinazione si deve peraltro escludere già sulla base del chiaro tenore del (primo) contratto, nel quale (come efficacemente sintetizzato dalla difesa attorea) si trattava «non di un progetto .. ma di una mansione»: chiedendosi alla ricorrente di «effettuare le stesse visite fiscali che già faceva dal 2005»;  in altre parole è del tutto evidente la differenza tra «progetto» e «mansione», laddove a quest’ultima manca la caratteristica - in tutta apparenza ritenuta essenziale dalla legge - di poter essere oggetto di una valutazione di ontologico «completamento».

La domanda ex art.2126 deve pertanto essere accolta, osservando che, una volta esclusa la legittimità del contratto di collaborazione (ovvero di lavoro autonomo), necessariamente la prestazione (qualunque ne sia il contenuto: e cioè senza necessità di assumere le testimonianze, offerte dalla ricorrente, dirette a provare che il rapporto abbia assunto effettivamente caratteristiche riferibili in modo esclusivo al regime della subordinazione) deve essere ricondotta, per disposizione generale (art.361 D. L.vo 165/01, art.47 L833/78), ad un formale rapporto di impiego, al quale debbono essere parametrate le retribuzioni per l’attività svolta (in assenza di valido contratto)”.

Cosa fare

Siamo in attesa di decisioni da parte del Tribunale di Ancona, in causa analoghe affidate ad altri giudici i quali hanno però dato ingresso alle prove per testi volte a dimostrare che il rapporto di lavoro si era svolto con le modalità tipiche del lavoro subordinato, disciplinato dal CCNL dell’Area della Dirigenza Sanitaria. 

Oggetto di decisione sarà anche la maturazione o meno di una parziale prescrizione del diritto a ricevere le differenze retributive in quanto a nostro avviso il termine di prescrizione quinquennale non si applica essendo in presenza di un rapporto di lavoro non assistito da stabilità reale.  

Consigliamo i medici ospedalieri che si trovano (o si trovavano) in una situazione come quella descritta, di inviare quanto prima al datore di lavoro una diffida contenente la richiesta di differenze retributive in modo tale da interrompere il decorso del termine prescrizionale.