Trattamento fiscale del rendimento dei Buoni Fruttiferi Postali

Trattamento fiscale del rendimento dei Buoni Fruttiferi Postali

Criterio di cassa e non di competenza

Premessa

Parliamo oggi dei Buoni Fruttiferi Postali categoria “P” e “Q” e del loro corretto rimborso da parte di Poste Italiane.

L’argomento occupa da molti anni i Tribunali, così come le cronache giornalistiche.

Non è questa la sede per una ricostruzione a tutto tondo della casistica affrontata nei vari contenziosi risoltisi, in modo altalenante e spesso non prevedibile, in alcuni casi a favore dell’emittente e in altri casi a favore dei risparmiatori.

Il caso che andiamo ad affrontare concerne una serie di buoni fruttiferi postali serie Q emessi nel corso dell’anno 1988.

Il Cliente, dopo avere ricevuto il rimborso dei buoni, si è rivolto al nostro Studio per verificare la possibilità di ottenere una somma più alta rispetto a quella pagata da Poste Italiane.

Abbiamo effettuato il conteggio calcolando le somme spettanti sulla base dei criteri contenuti nel retro dei buoni fruttiferi ed è emerso che la somma lorda spettante era ben più alta di quella calcolata da Poste Italiane.

È stato dunque richiesto ed emesso un decreto ingiuntivo dal Tribunale competente (Macerata) avverso il quale Poste Italiane ha promosso opposizione. L’opposizione era ampiamente prevista così come i suoi motivi: capitalizzazione degli interessi al lordo della ritenuta anziché al netto della stessa.

Particolarità del caso  

A seguito dell’opposizione si è aperto un processo di merito nel corso del quale è stata disposta una CTU contabile e posto al Perito il seguente quesito: “Il giudice, lette le memorie delle parti, dispone consulenza tecnica d’ufficio volta alla esatta quantificazione dell’importo spettante alla parte convenuta opposta, alla scadenza dei buoni postali oggetto di causa, sulla base delle sole previsioni contrattuali contenute nei titoli stessi, anche con riferimento alla disciplina fiscale applicabile”.

Il perito nominato dal Giudice ha ricalcolato le somme dovute in forza dei buoni utilizzando il seguente criterio di calcolo: Coerentemente con quanto esposto nelle tabelle contenute nei buoni, con capitalizzazione degli interessi al lordo della ritenuta fiscale.

Al fine di evitare eventuali richieste di integrazione peritale, il CTU ha anche calcolato gli interessi capitalizzati al netto della ritenuta fiscale, come già effettuato da Poste Italiane al momento del pagamento.

Ha precisato che la questione fiscale aveva natura strettamente giuridica e non poteva essere risolta dal CTU.

Dall’elaborato peritale è emerso che il Cliente vantava un credito nei confronti di Poste Italiane sia nell’ipotesi di capitalizzazione degli interessi al lordo della ritenuta fiscale sia nel caso di capitalizzazione degli interessi al netto della ritenuta fiscale (seppure in misura inferiore rispetto alla prima ipotesi di calcolo). Il che vuol dire che Poste Italiane aveva comunque errato il calcolo al momento del pagamento.

Materia della decisione è dunque come debba essere applicata la tassazione sugli interessi del 12.5% da parte di Poste Italiane SpA. L’emittente ritiene di dover capitalizzare annualmente gli interessi di volta in volta maturati, al netto dell’imposta sostitutiva del 12,50% anziché farlo solo al momento del pagamento.

L’elaborato peritale aveva offerto due opzioni. Anche con quella più sfavorevole -utilizzando il metodo di calcolo scelto da Poste Italiane Spa- il risparmiatore vantava un credito e dunque l’esito della causa non poteva essergli del tutto negativo.

La decisione

Il Tribunale di Macerata con sentenza n. 731/2022 ha accolto la domanda ed ha condannato Poste Italiane a pagare una somma in linea con quella richiesta con il decreto ingiuntivo opposto.

La sentenza ha ritenuto che gli interessi andavano tassati per cassa -ossia al momento del pagamento- e non per competenza -momento in cui matura il diritto di credito o sorge il debito- come aveva invece fatto Poste Italiane.

La motivazione merita di essere riportata seppure in stralcio stante la chiarezza espositiva che la contraddistingue.

“L’unica questione oggetto di controversia riguarda il trattamento fiscale del rendimento dei buoni.

Per la relativa soluzione, è allora necessario soffermarsi sulla normativa tributaria in materia…

Originariamente, l’art. 31 del d.P.R. n. 601/1973 prevedeva l’esenzione da imposizioni fiscali degli interessi e degli altri frutti derivanti dai buoni fruttiferi postali stabilendo in particolare che «sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche, dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche e dall’imposta locale sui redditi gli interessi, i premi e gli altri frutti dei titoli del debito pubblico, dei buoni postali di risparmio, delle cartelle di credito comunale e provinciale emesse dalla Cassa depositi e prestiti […]».

Successivamente alla data di emissione dei buoni della serie Q, avvenuta con D.M. del 13 giugno 1986, è intervenuto il D.L. n. 556/1986, convertito con modificazioni dalla Legge n. 759/1986, e rubricato «modifiche al regime delle esenzioni dalle imposte sul reddito degli interessi e altri proventi delle obbligazioni e dei titoli di cui all’articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601», prevedendosi il venire meno della cit. esenzione e una ritenuta d’imposta del 12,50% per le persone fisiche e «sugli interessi, premi ed altri frutti corrisposti ai possessori», ai sensi dell’ art. 26 del d.P.R. n. 600/1973 ratione temporis applicabile.

In seguito, il d.lgs. n. 239/1996 ha ulteriormente modificato il regime impositivo previsto per i buoni fruttiferi postali dalle disposizioni di cui al D.L. n. 556/1986, introducendo, con l’art. 2, una imposta sostitutiva in misura comunque pari al 12,50%, di talché «sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 12,50 per cento, […] gli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e degli altri tioli similari di cui all’art. 31 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, ed equiparati, emessi in Italia, per la parte maturata nel periodo di possesso, percepiti dai seguenti soggetti residenti nel territorio dello Stato: a) persone fisiche […]».

A fronte di tali dati normativi, per la soluzione della controversia, è necessario più in particolare stabilire quale sia il periodo di imposta di detta tassazione, vale a dire l’imputazione del singolo elemento reddituale al periodo di imposta inteso come dimensione temporale in cui collocare e rilevare le situazioni di fatto espressive di capacità contributiva.

Ora, con riferimento alle regole di imputazione al periodo di imposta, nel sistema tributario si rileva la presenza di due diversi e alternativi criteri: il «criterio di cassa» e il «criterio di competenza».

Secondo il criterio di cassa, il reddito diviene rilevante ai fini dell’imputazione al periodo di imposta quando viene percepito o pagato, quando cioè si verifica la movimentazione finanziaria in entrata o in uscita.

Il diverso criterio di competenza, invece, annette rilievo al momento in cui matura il diritto di credito o sorge il debito, e vale normalmente per i redditi di impresa.

Nel caso in esame, stante l’inequivocabile riferimento ai redditi «percepiti», appare evidente come detti interessi – peraltro inquadrabili nella categoria dei redditi di capitali (v. infra) – debbano essere tassati per cassa, vale a dire nel momento in cui sono pagati.

A tale risultato – fermo restando che nel caso in esame viene in rilievo una «imposta sostitutiva» delle imposte sui redditi e dunque una diversa fattispecie –conduce anche una notazione di carattere sistematico.

Ed infatti, venendo comunque in rilievo redditi di capitali, si deve osservare che i redditi di capitali sono tassati per cassa e non per competenza.

In particolare, rientrando nella nozione di frutto civile di cui all’art. 820, comma 3°, c.c., gli interessi rientrano nella categoria di cui all’art. 6, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR), e la loro specifica disciplina è contenuta negli artt. 44-48 del TUIR stesso.

Con riguardo all’IRPEF, il periodo d’imposta coincide con i singoli anni solari: l’art. 7, comma 1, del TUIR prevede che «L’imposta è dovuta per anni so-lari, a ciascuno dei quali corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma, salvo quanto stabilito nel comma 3 dell’articolo 8 e nel secondo periodo del comma 3 dell’articolo 11».

Il comma 2 dell’art. 7 cit. stabilisce che «L’imputazione dei redditi al periodo di imposta è regolata dalle norme relative alla categoria nella quale rientrano».

Dunque, poiché come sopra rilevato gli interessi ricadono nei redditi di capitale, si deve rilevare che il disposto dell’art. 45, comma 1, del TUIR stabilisce che «Il reddito di capitale è costituito dall’ammontare degli interessi, utili o altri proventi percepiti nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione».

Ciò premesso in punto di diritto, nel caso in esame, l’emittente ha invece ritenuto di dover capitalizzare annualmente gli interessi di volta in volta maturati, al netto dell’imposta sostitutiva del 12,50%, così diminuendo indebitamente l’importo spettante al sottoscrittore e pervenendo ad una capitalizzazione al netto e non al lordo della imposta, secondo un criterio che considera anticipata-mente un momento impositivo invero successivo a fronte delle disposizioni sue-sposte.

In senso contrario, a nulla rilevano le disposizioni di cui al D.M. del 23 giugno 1997 (G.U. n. 145/1997), trattandosi di provvedimento sottordinato alle disposizioni legislative richiamate, da disapplicarsi, ai sensi dell’art. 5 dell’Allegato E) alla legge n. 2248/1865, ove difforme da queste ultime (e per quanto attiene alla considerazione indebitamente anticipata del momento impositivo), e che non trova ulteriore efficacia in ragione della sua eventuale corrispondenza ad anteriori prassi.

Sulla scorta di tali rilievi, deve darsi seguito al conteggio effettuato dal CTU sulla base della capitalizzazione degli interessi al lordo della ritenuta fiscale …

Cosa fare

La decisione del Tribunale che abbiamo commentato seppure solidamente motivata, costituisce un filone giurisprudenziale ancora nuovo. E’ probabile che Poste Italiane proporrà appello dato che contiene argomentazioni potenzialmente idonee, in molti casi, a fare pendere l’ago della bilancia a favore dei sottoscrittori dei buoni.

Coloro che intendono attivarsi in via giudiziaria per tentare di recuperare somme ulteriori rispetto a quelle rimborsate da Poste Italiane devono avere ben presente che l’esito favorevole del contenzioso non è affatto scontato stante il continuo susseguirsi di decisioni da parte dei Tribunali e dell’Arbitro Bancario Finanziario.

pubblicato il
23 agosto 2022

di Diomede Pantaleoni